Esprimere le emozioni

Le emozioni. Tutti noi pensiamo di saperle riconoscere, esprimere, chiamare per nome.

In realtà sapere definire bene l’emozione che ci sta accompagnando in una determinata occasione richiede una buona dose di introspezione e di onestà verso se stessi.

Non conoscere e non esprimere le proprie emozioni è un’abitudine che può rivelarsi pericolosa per nostro benessere psicofisico.

Una persona che non esprime le proprie emozioni o non le riconosce o non sa spiegarsi da dove esse vengano, come siano generate, non conosce se stessa e prima o poi riconoscerà di sentirsi “contenuta”, di non riuscire ad essere pienamente se stessa.

Andarsene in giro per il mondo con i “freni emotivi” perennemente tirati limita la capacità di gioire, di imparare, di crescere e diventare una persona adulta e matura.

Ascoltare il flusso delle emozioni che ci pervade ogni momento è il sentirsi vivi. E’ il sentire che siamo persone con una coscienza e una consapevolezza di sé, è riuscire a guardare la realtà e le altre persone per quello che sono, come fonte di ispirazione dei nostri sentimenti.

Per questo è importante fin da bambini intraprendere un percorso di alfabetizzazione delle emozioni.

La competenza emotiva di un bambino, ossia la capacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni e di riconoscere e rispondere in maniera appropriata alle emozioni altrui, varia a seconda dell’età del bambino e del contesto sociale in cui vive: ad esempio, è stato dimostrato che parlare in famiglia delle emozioni sia proprie che altrui (Dunn, Brown, 1994) permette ai bambini di affrontare meglio le proprie emozioni, di comprendere le emozioni altrui, di condividere le esperienze emotive con gli altri e di relazionarsi in maniera più appropriata con gli altri. Inoltre, durante l’età prescolare, come ci riporta Piaget, nel bambino si sviluppa la cosiddetta “teoria della mente” che consente allo stesso di attribuire all’altro intenzioni, desideri, pensieri ed emozioni che possono essere differenti dai propri; il bambino riesce, dunque, ad assumere una prospettiva diversa dalla propria.

Spiegare ai bambini cosa sono le emozioni, denominarle e insegnare loro delle strategie di gestione delle stesse non sempre risulta un compito semplice per i genitori, in quanto anche se si è raggiunta una buona consapevolezza di sé, è necessario l’utilizzo di un linguaggio e di un metodo che possa essere compreso adeguatamente dai bambini. E’ necessario capire il proprio bambino ed entrare in sintonia con lui.

Le emozioni emergono precocemente nella vita di ciascun individuo e secondo Ekman e Friesen già nelle prime settimane di vita è possibile riscontrare la presenza di 6 emozioni primarie innate e universali: la gioia, la tristezza, la rabbia, la paura, il disgusto, la sorpresa ( Avete visto “inside out?”). Nel corso dello sviluppo, le emozioni cambiano a causa sia della maturazione biologica sia dei processi di socializzazione primaria e secondaria ed emergono delle nuove emozioni: ad esempio, la colpa, la vergogna e l’orgoglio compaiono verso il secondo e terzo anno di vita. Col tempo, le emozioni cominceranno ad essere attivate in situazioni differenti e saranno regolate con comportamenti sempre più accettati socialmente.

E’ naturale, poi, tendere a classificare le emozioni come positive e negative, e in un certo senso rendere implicito in molti nostri comportamenti o proposizioni che le emozioni negative non sia bene manifestarle.

In genere le emozioni negative sono sentimenti dolorosi, di tristezza o rabbia o frustrazione.

Bisogna però rendersi conto che reprimere i sentimenti che fanno male non significa automaticamente farli sparire. Ogni sentimento deve in qualche modo trovare uno sbocco o tenendoli nascosti diventeranno di solito più grandi e più forti e ricompariranno sotto forma di altri sintomi.

Oltretutto, quando le emozioni non vengono condivise, ci si può sentire molto soli e spaventati, i sentimenti dolorosi non condivisi tendono a crescere. Invece, quando si racconta a qualcuno le proprie emozioni, queste sembrano poi meno spaventose e gigantesche, e si trova la forza e la via giusta per affrontarle.

In poche parole, le emozioni represse non sono sopite. Come dice Freud, esse “proliferano nel buio”.

Quello che possiamo fare, quindi è insegnare ai bambini a riconoscere le proprie emozioni, di qualunque tipo, dando loro un nome e senza classificarle come negative o positive. E poi a rielaborarle, affiancandoli con pazienza quando serve, dedicando loro tempo di qualità e cercando davvero di ascoltarli e capirli.

Se questo tipo di aiuto è costante le emozioni cominceranno ad essere considerate come utili indicazioni per decidere come agire, per comprendere di cosa abbia bisogno e quali siano i suoi desideri, e non più come una minaccia.

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