I bambini imparano ciò che vedono

Se il bambino viene trattato con tolleranza, impara ad essere paziente.

Se vive nell’incoraggiamento, impara la fiducia.

Se vive nell’approvazione, impara ad apprezzare.

Se vive nella lealtà, impara la giustizia.

Se vive con sicurezza, impara ad avere fede.

Se vive volendosi bene, impara a trovare Amore e Amicizia.

Dorothy Nolte

Le situazioni difficili

Crescita personale e consapevolezza di sé  

“Un Natale, Gesù Bambino mi regalò la gru sbagliata. Ma tanto io lo so che nessuno ha la gru che vorrebbe. Perché nessuno è in grado di leggerti dentro. E allora tanto vale mettersi a coltivare piante.”

Paola Mastrocola, Una barca nel bosco

 

Le situazioni difficili, in cui tutti noi ci siamo trovati  o ci troveremo nel corso della nostra vita, possono essere esperienze dolorose, ma che se vissute con consapevolezza possono portare ad un ulteriore passo nel nostro cammino di crescita personale.

“Crescita” è una parola dai molteplici significati. Crescita fisica, mentale, personale.

Proprio in questo periodo mi sono trovata a interrogarmi su cosa questa parola volesse dire. Su quando una persona può considerarsi cresciuta e matura.

Crescita di per sè è un cambiamento, una trasformazione. E come tutti i cambiamenti ci porta a passare attraverso periodi di disequilibrio, di passaggio tra una condizione stabile ad un’altra.

Ogni occasione di crescita può portare, quindi, a delle modifiche nel nostro fisico ma anche nel nostro modo di pensare,  di agire, di affrontare la vita.

Durante queste occasioni può capitare di sentirsi un po’ persi, di non capire cosa sta succedendo, di sentirsi “una barca nel bosco”.

Credo che mantenere costante ed anzi incrementare sempre la consapevolezza di sé sia ciò che bisogna ricercare sempre per poter intraprendere la strada giusta, per sapere individuare almeno in parte ciò che vogliamo diventare da grandi e che può renderci soddisfatti di noi stessi.

Per fare questo è importante parlarsi con franchezza e non limitarsi mai a raccontarsi i fatti “così come dovrebbero essere” in funzione delle convenzioni sociali o solo semplicemente di quello che noi vorremmo che fosse. E per parlarsi con franchezza bisogna saper riconoscere e identificare le emozioni che ci scuotono e che ci riempiono, scatenate da un evento particolare piuttosto che da una relazione o da un pensiero.

Riconoscere le nostre emozioni è fatto tanto fondamentale quanto difficile, perché spesso non ci rendiamo conto che il nostro modo di pensare e di agire è condizionato oltre che dalla società in cui viviamo e dalle sue convenzioni anche da quelli che Alba Marcoli (psicologa clinica di formazione analitica, con lunga esperienza nel campo dell’insegnamento e della psicoterapia)  ne “Il bambino lasciato solo” (Ed. Mondadori, 2007 ) chiama i nostri “fantasmi del passato”, ovvero meccanismi di comportamento che diventano automatismi innati proprio nelle situazioni di maggior stress o di difficoltà. I fantasmi del passato sono schemi comportamentali ereditati dai nostri genitori o dalle persone con cui siamo stati più a contatto durante l’infanzia e l’adolescenza e che hanno influenzato la nostra educazione e , appunto, la nostra crescita.

Quello che dobbiamo saper riconoscere è che noi non siamo i nostri schemi di comportamento. Noi siamo persone diverse dai nostri genitori, e una volta riconosciuti questi schemi possiamo modificarli secondo il nostro pensiero, ad esempio per correggere comportamenti che ci paiono ora sbagliati o non appropriati e che vogliamo modificare e migliorare.

L’adulto e i bambini

La crescita è parte quotidiana e fondamentale della vita dei bambini.

Spesso ci si trova a dover affrontare, con loro, momenti e situazioni difficili e ci rendiamo conto di quanto sia difficile trovare le parole e le modalità giuste per aiutarli in quello di cui hanno bisogno per crescere serenamente.

Spesso, in queste situazioni, risuona dentro di noi la nostra parte “bambina” e ci troviamo a riproporre ai nostri figli i “fantasmi” del nostro passato”, pur rendendoci conto che le modalità di comportamento che ne derivano sono in realtà controproducenti, o addirittura ci si ritorcono contro.

Alba Marcoli propone una serie di favole che raccontano alcune di queste situazioni difficili, e in cui ognuno di noi può riconoscere le modalità d’aiuto che inconsapevolmente mettiamo in atto, e altre invece che potrebbero risultare più efficaci.

La cosa che stupisce è che davvero, la maggior parte delle volte, la soluzione è nella via più semplice da percorrere. La cosa più difficile è invece avere la pazienza e la calma di vedere questa via da percorrere con chiarezza e saperla percorrere con costanza e coerenza per tutto il tempo necessario, senza scoraggiarsi o spaventarsi se non si hanno risultati immediati.

Il percorso verte principalmente sull’aumento della consapevolezza di sé, nel nostro modo di educare i bambini ed aiutarli ad affrontare i piccoli e grandi ostacoli che la vita ci  propone. Dobbiamo essere infatti coscienti del fatto che i bambini sono un libro bianco che viene scritto di girono in giorno, da loro stessi, prendendo insegnamenti dalle esperienze che vivono personalmente, ma anche da noi e da come interagiamo con loro con il nostro esempio e con il nostro modo di star loro vicino.

Le prime riflessioni che possiamo fare, quindi, in situazioni difficili, sono sicuramente su noi stessi.

Le favole aiutano innanzitutto a riconoscere, guardandoli dall’esterno, i nostri fantasmi del passato. Una volta isolati questi schemi comportamentali, bisogna cercare di prenderne le distanze e imparare a guardare le cose  e a ragionare con la mente dei bambini. Spesso basta guardare le cose da un altro punto di vista perché tutto sia più semplice ed evidente.

Senza lasciarsi scoraggiare e puntando l’attenzione su noi stessi, impariamo che noi non siamo il nostro modo di ragionare o i nostri schemi mentali, ma siamo in realtà un insieme molto più ricco di idee ed esperienze e soprattutto emozioni.  Impariamo ad essere più indulgenti verso noi stessi lungo il nostro percorso di crescita e miglioramento.

Bisogna poi saper riconoscere l’individualità di ogni bambino. Bisogna saper lasciare i bambini esprimersi ed essere loro stessi, crescendo e sbagliando da soli, senza iperproteggerli o cercando di plasmarli secondo un nostro ideale. Le battaglie perse in partenza sono sicuramente quelle in cui vogliamo i nostri figli diversi da come lo sono. Sono battaglie che non andrebbero combattute per niente, perché ogni individuo, per giovane o anziano che sia, ha la sua strada da percorrere a modo suo che non può combaciare con nessun altra e che deve trovare e percorrere lui solo. Quello che possiamo fare è dare aiuto e soccorso e sostegno durante il percorso.

Ricordiamoci che ognuno di noi è unico e irripetibile. Ripetiamo il nostro nome: se io ho un nome significa che ci sono anche io a questo mondo e che c’è un posto anche per me e per il mio modo di essere, come per tutto e tutti.

“Dei genitori saggi permettono ai loro bambini di sbagliare. E’ un bene che si brucino le dita ogni tanto” Ghandi

Nell’aiutare un bambino bisogna poi ricordarsi sempre che IO sono l’adulto, non il mio bambino. Questo significa che sarò io a dover fornire risposte e rassicurazioni, e anche quando non ne sono capace, non devo essere dipendente da un “fuori” che mi dia la conferma di quanto posso valere.

Anche qui ritorna il lavoro e la riflessione su noi stessi. La presa di coscienza di sé, dei nostri limiti e delle nostre paure, non perché vengano nascoste, ma perché vengano accettate.

Fornire sicurezze ai bambini è una delle basi necessarie perché un giorno possano diventare a loro volta sicuri di sé e riuscire a intraprendere il loro percorso di vita.

Le sicurezze per i bambini si creano costruendo una tana sicura, dei rituali, una routine, non sottoponendoli a continui cambiamenti. Solo così in futuro avranno anche loro un porto sicuro da cui partire per affrontare  i cambiamenti della vita.

Importante è poi cercare di comunicare con i bambini usando la loro lingua. I bambini hanno bisogno di sentirsi riflessi negli altri in un modo che corrisponde alle loro esperienze, sia esterne che interne. Quando riusciamo a comunicare con i nostri bambini secondo modalità che creano un senso di unione e sintonia, li aiutiamo a creare una storia coerente e integrata della loro vita.

Bisogna saperli innanzitutto ascoltare, il che non significa accontentare.

Bisogna saper trasmettere una visione positiva del mondo e del futuro, nonostante le nostre paure e incertezze.

E’ comprensibile come in ogni storia difficile esistono dei buchi incolmabili che riguardano “ciò che sarebbe potuto essere e che non è stato”. Non dobbiamo lasciare che il rancore o la tristezza o la rabbia che questi buchi possono aver creato, condizionino la nostra visione del futuro: bisogna saper guardare avanti e superare ciò che è stato il passato. Quello che saremo in futuro lo decidiamo noi stessi, nel presente, facendo forza anche sul ciò che abbiamo vissuto nel passato, per quanto negativo sia stato, e sapendolo utilizzare a nostro favore, non come zavorra che in qualche modo ci impedisca di essere felici o di raggiungere un obiettivo.

Nei periodi di difficoltà, lasciamo che ad aiutarci siano soprattutto i ricordi buoni dentro di noi, il nostro serbatoio affettivo.

 

Bibliografia: “Il bambino lasciato solo. Favole per momenti difficili”, Alba Marcoli, Ed.Mondadori

Il modello REBT: ABC delle mie Emozioni (4-7 anni) . Programma di alfabetizzazione socio-affettiva secondo il metodo REBT ( Mario Di Pietro)

Intrapreso il percorso sul riconoscimento e sulla gestione delle emozioni, risulta di grande aiuto il libro “ABC delle mie Emozioni 4-7 anni” ( esistono dei volumi per diverse età con suggerimenti specifici), di Mario Di Pietro.

Provo a ripercorrere ora in breve i punti salienti del libro: l’autore propone un percorso di “alfabetizzazione socio-affettiva” che si propone di conoscere e sviluppare le “abilità emozionali” dei bambini ( ma vedremo come si incomincia dagli adulti!).

La base del percorso di alfabetizzazione socio-affettiva è proprio l’insegnare ai bambini come essere consapevole delle proprie emozioni, e in un secondo tempo anche riconoscere le emozioni provate da altre persone.

Le nostre “abilità emozionali”, infatti, o “competenze emotive”, sono le nostre capacità di fronteggiare le frustrazioni, la collera, le paure, lo sconforto, e proprio da queste derivano le risorse per reagire alle avversità e instaurare relazioni positive con le altre persone.

La prima cosa è quindi insegnare al bambino a riconoscere e chiamare per nome le proprie emozioni, chiamandole per nome e ampliando il lessico a sua disposizione: si possono usare disegni di facce con diverse espressioni, fotografie, e poi anche la verbalizzazione del suo stato d’animo ( es: “oggi vedo che sei contento!”, oppure: “ti vedo triste, cosa ti preoccupa?”).

Oltre alle proprie emozioni il bambino deve imparare a riconoscere quelle provate da altre persone: l’adulto può insegnare a fare attenzioni a certe espressioni, posture del corpo, o anche suggerire come ci si può sentire in determinate situazioni attraverso la lettura di favole in cui il bambino cerca di esprimere lo stato d’animo dei personaggi in diverse situazioni.

Una volta imparato a chiamare per nome le emozioni, si possono insegnare alcune semplici tecniche per gestire alcune di esse:

  • La rabbia con la tecnica della “tartaruga” (riconosco i segnali di rabbia che mi dà il mio corpo-fermarsi- rintanarsi nel guscio e pensare a cose che possono calmarmi-uscire dal guscio e pensare come poter risolvere il problema)
  • La tristezza: una volta riconosciuta ( attenzione ai pensieri negativi e pessimisti che possono manifestarla) è importante non soffocarla, ma al contrario fare in modo che il bambino la esprima, nel modo che trova più facile ( se non parlare, il disegno, la musica, il ballo, il gioco) . Comunicare il messaggio che non c’è niente di male a sentirsi tristi, che è una condizione temporanea. Provare a portare sollievo anche con metodi fisici: sport e attività fisica sono antidepressivi naturali!
  • La timidezza: finchè questa caratteristica non limita i rapporti con i coetanei o la possibilità di fare esperienze sociali non c’è nulla di male nell’essere timidi. I bambini più timidi andrebbero incoraggiati a fare esperienze ponendogli piccoli obiettivi e premiandoli , senza aggravarli con troppe aspettative o troppa ansia.
  • Ansia e paure: cercare di razionalizzare la causalità degli eventi che generano paura o ansia a seconda del livello di comprensione del bambino, lasciargli porre domande e rassicurarlo creando routine da seguire.

 

La Terapia Razionale Emotiva Comportamentale ( REBT, rational-emotive behaviour therapy)

E’ una teoria e prassi psicoterapeutica ideata dallo psicologo statunitense Albert Ellis.

Il suo assunto di base è il credere nella possibilità di raggiungere un maggior benessere emotivo utilizzando proprio la capacità di pensiero razionale.

Secondo il modello REBT, le reazioni emotive che in ognuno di noi si scatenano di fronte ad un certo evento sono generate e indotte dal modo in cui l’individuo rappresenta e classifica tali eventi nella propria mente, nel modo in cui questo evento viene “valutato” dalla propria mente.

Per portare un esempio, ad un evento del tipo “mio figlio ha rovesciato il budino sul tappeto”, i pensieri valutativi dell’evento possono essere diversi, e immaginate le reazioni emotive scatenate da due pensieri del tipo: A- “che disastro, il budino è andato sprecato e ora dovrò ripulire tutto” oppure B- “ è un bel guaio e mi darà da fare, ma arrabbiarmi non mi aiuterà. Dopotutto è un bambino e può succedere”.  La nostra mente produce continuamente pensieri per valutare e reagire a diverse situazioni, esiste ed è sempre in atto un continuo “dialogo interiore”.

Da questo esempio si può forse già intuire come alcuni tipi di pensieri possano indurci a reazioni emotive esagerate in rapporto alla situazione vissuta. Questi pensieri vengono definiti irrazionali e hanno le seguenti caratteristiche:

  • Non realistici, distorcono gli eventi
  • Pensieri esagerati, assolutistici
  • Non aiutano a raggiungere lo scopo
  • Portano a reazioni emotive esagerate

Questi pensieri portano con sé alcuni contenuti dannosi e problematici:

  • Pensiero assolutistico: è considerato la base di ogni forma di irrazionalità. Questo pensiero trasforma il nostro obiettivo da preferenza razionale, realizzazione auspicabile , e desiderabile a cui però possiamo anche fare a meno, seppur con qualche inconveniente, in esigenza assoluta e indispensabile. Assume la forma di “doverizzazioni”, verso se stessi e verso gli altri: “devo assolutamente”, “bisogna sempre”. Spesso questi pensieri sono legati alla ricerca di stima e approvazione degli altri, cose che vengono ritenute condizioni indispensabili alla nostra felicità.  Sono sicuramente condizioni che aiutano, ma è facile intuire che possono essere invece la base della costruzione dell’infelicità se ritenute assolutamente e sempre indispensabili.
  • Pensiero catastrofico: consiste nell’esagerazione dell’aspetto spiacevole di una situazione. “E’ tremendo avere così poco tempo”, “E’ orribile un bambino così poco educato”
  • Intolleranza, Insopportabilità: pensieri che non tollerano frustrazioni “è insopportabile tutto questo lavoro…”
  • Svalutazione globale di sé o degli altri: consiste nel ritenere un fallimento totale ogni proprio sbaglio. “sono un disastro”, “i miei bambini sono dei selvaggi”
  • Generalizzare: pensare in termini di “sempre”, “mai”, “tutti”, “nessuno”.

La trasformazione dei pensieri

La parte razionale della nostra mente può aiutarci nel trasformare questi pensieri, riconoscendoli e sostituendoli con altri più positivi e costruttivi. In pratica bisogna cercare di sostituire un vecchio percorso mentale con uno nuovo che porta emozioni più positive e funzionali.

Ovviamente non è una trasformazione che può avvenire da un giorno all’altro, ma la si può raggiungere attraverso molta pratica, costanza e con qualche aiuto come la scrittura di un “diario” emotivo” nel quale annotare le sequenze A-B-C di evento-pensiero-emozione, riconoscere il pensiero irrazionale, attaccarlo con una serie di domande e sostituirlo con un pensiero più positivo.

Alcuni esempi di attacchi ai pensieri irrazionali e trasformazioni posso essere:

  • Cosa c’è di vero/non vero in quello che penso?
  • C’è qualche esagerazione nel mio modo di pensare?
  • Pensare che ho bisogno assoluto di questa cosa, o che questa cosa è insopportabile, mi aiuta a stare meglio?
  • Questi pensieri mi sono utili a superare la situazione?
  • Qual è la cosa peggiore che potrebbe succedere, e quanto è probabile che si verifichi davvero?
  • In quale altro modo potrei considerare questa situazione?

Pensieri trasformati:

  • Le pretese assolute in: “mi piacerebbe ma so che non è indispensabile…so che potrò avere altre gratificazioni se…”
  • Il pensiero catastrofico: “E’ doloroso ma non è la fine del mondo”
  • Intolleranza: “ E’ fastidioso ma sopportabile..”
  • La svalutazione personale sostituita con dei giudizi sulle azioni e non sulle persone in sè, ricordandosi che una persona è molto più che non la somma dei suoi comportamenti

Il dialogo interiore

Il primo passo per riuscire a realizzare questa trasformazione è ascoltare il proprio dialogo interiore. In particolare, focalizzare la propria attenzione su come parliamo a noi stessi quando

  • Facciamo un errore
  • Si viene trattati male
  • Arriviamo in ritardo
  • Scoprite un difetto in un prodotto acquistato
  • Ascoltate lamentele su vostro figlio
  • Ricevete una critica
  • Vi accorgete di essere ingrassati
  • Non riuscite a capire il funzionamento di un nuovo apparecchio acquistato

Riconoscere come la nostra mente elabora avvenimenti di questo tipo ci porterà a riconoscere i nostri pensieri irrazionali, e quindi iniziare la strada della loro sostituzione con pensieri più positivi.

Farlo su noi stessi ci renderà poi capaci di riconoscere anche in altri gli stessi meccanismi ed aiutarli a superarli.

Ascoltare i pensieri dei bambini

Una volta capito il nostro dialogo interiore e iniziata la trasformazione in noi stessi, possiamo aiutare anche un’altra persona, in particolare un bambino, a noi caro.

Nei bambini, per riconoscere i loro pensieri irrazionali prevalenti, può essere utile osservare e annotare le loro reazioni più frequenti, come “è insopportabile, devo per forza, non sono capace a fare niente..” e cercare di riconoscere e capire le sue modalità di pensiero.

Si può poi spiegargli il concetto di dialogo interiore, facendo riferimento a situazioni simili vissute dall’adulto e come egli aveva reagito, oppure facendo riferimento a ciò che si è osservato nel bambino (“ti ho visto mentre giocavi a scacchi, e dicevi che ce la potevi fare, questo è un buon modo di pensare”).

Importantissimo è essere consapevoli che il primo insegnamento che noi diamo al bambino è attraverso il nostro stesso esempio: il modo in cui noi gestiamo certe situazioni diventa per lui modello da seguire; è fondamentale, quindi, nel caso si voglia dimostrargli pensieri costruttivi,  sottolineare nelle diverse situazioni l’affermazione positiva che ci porta verso l’ottenimento del nostro obiettivo (“E’ meglio se mi controllo”, “E’ difficile ma posso farcela”, “Vediamo quali altre cose posso fare”).

In situazioni attinenti la disciplina, è importante porre l’accento sulle azioni compiute e non dare un giudizio sulla persona intera ( “se ti comporti male nessuno giocherà più con te”, piuttosto che “come hai potuto fare una cosa simile?”): questo porterà il bambino a costruire un dialogo interiore basato sulla valutazione delle proprie azioni e non sulla svalutazione di se stesso.

In situazioni attinenti a eventi futuri, sviluppare e esplicitare atteggiamenti volti ad aumentare la fiducia in se stessi e non gravate da ansie di perfezionismo : piuttosto che “tu non sarai mai bravo come Giovanna”, oppure “ il mio bambino è timido, non fa certe cose”, si può dire che “è impossibile riuscire bene in tutto ma si può provare a fare del nostro meglio” “ se sbaglio è utile per imparare”.

In generale, quindi, è importante concentrarsi sui messaggi positivi che ci lancia la nostra mente e farli presente sempre, come modello, ai nostri bambini. Questi messaggi e affermazioni dovrebbero poi essere espresse con il linguaggio del bambino e non con quello dell’adulto; dovrebbero essere in accordo con gli scopi del bambino, e non con le aspettative dell’adulto; devono essere il più possibile espresse in termini positivi, evitando le negazioni(“ E’ meglio che sto calmo” piuttosto che “non devo arrabbiarmi” ).

E’ importante anche essere consapevoli che per insegnare ad un bambino a trasformare i propri pensieri irrazionali in pensieri positivi ci va calma, costanza, dedizione e pazienza: per renderlo capace di affrontare da solo situazioni problematiche con un pensiero positivo è sicuramente utile e importante utilizzare questo tipo di pensieri più volte nell’arco della giornata, fissarli su un cartoncino e associarli a situazioni piacevoli ( il fare merenda, un gioco interessante, una sorpresa gradita) e magari richiamarli alla mente prima di addormentarsi, quando la mente risulta rilassata e ricettiva.

Con un lavoro costante di sicuro i risultati si otterranno in tempi relativamente brevi.

 

La mia esperienza

Ho provato personalmente a seguire questo metodo con mia figlia di 7 anni, che da sempre è insicura e paurosa nei confronti di nuove esperienze ( siano queste l’imparare ad andare in bici o fare un esercizio di matematica nuovo), bisognosa di trovare sempre il buon giudizio e il sostegno degli adulti e dei suoi coetanei .

Credo che già a questa età si possa iniziare a spiegare la teoria di questo metodo: a mia figlia ho spiegato che nella nostra testolina c’è sempre un pensiero, c’è sempre una vocina che ci dice ad esempio “che brutta matematica! io non la so fare! “ non appena vediamo il quaderno di matematica. Questa vocina, quando ci dice cose brutte o paurose, ci fa stare male, ci fa diventare paurosi e non ci fa riuscire a fare niente. Noi però possiamo sentirla, questa vocina, e dirle di stare zitta! Che in realtà non è così: che non succede niente se non riesco a fare subito un esercizio di matematica, l’importante è non scoraggiarsi e se necessario chiedere aiuto alla mamma o al papà o alla maestra. Che tante volte anche io ho paura di non riuscire a fare una cosa, ma allora mi fermo e mi dico “ io ce la metto tutta, sono sicura che ce la farò!”

Prima di iniziare a fare i compiti che per lei so essere ostici, le ho insegnato a ripetersi “ce la posso fare, io sono capace, io ci riesco!” e l’ultima volta, dopo una breve crisi di pianto perché non voleva iniziare matematica, l’ho sentita ripetersi queste parole e farsi coraggio da sola, per riuscire a iniziare e finire i compiti senza paura.

I bambini sono davvero molto veloci nell’apprender dei metodi che per loro siano confacenti e che capiscono portarli nella direzione giusta, cioè farli stare meglio.

La cosa più importante è riuscire ad essere costanti nell’eseguire questi esercizi e cercare di far notare i piccoli miglioramenti che vengono notati, sottolineando le buone emozioni che ne derivano. Il bambino le saprà riconoscere di sicuro! E si sentirà soddisfatto e un pochino più sicuro di sé.

E soprattutto fornire un modello adeguato e coerente con il proprio comportamento, cosa non sempre facile.

Il percorso è lungo, di certo non basta una sola volta per far sì che questo metodo venga recepito e sia efficacie.

Pensare positivamente è il primo passo fondamentale per affrontare la vita con un sorriso e non sentirsi scoraggiare da una emozione triste o situazione difficile, avere la forza e il coraggio di inseguire i propri sogni e di riuscire in ciò che si desidera fare.
Bibliografia: L’ABC DELLE MIE EMOZIONI, Programma di alfabetizzazione socio-affettiva secondo il metodo REBT, Mario Di Pietro, Ed. Erickson

Un amico a quattro zampe

Giada

Da un paio di anni ormai, Giada, una dolce e simpatica cagnolina meticcia dagli occhi ambrati è entrata a far parte della nostra famiglia.

L’abbiamo adottata quando aveva circa 5 mesi, era stata abbandonata in Sicilia ed era appena arrivata in un canile vicino casa nostra grazie ad un’associazione per i diritti degli animali.

Ricordo bene il giorno che siamo andati a prenderla per portarla a casa. Era il primo Gennaio 2015. Essendo cucciola di pochi mesi, e facendo molto freddo, la tenevano in una stanzina del canile un po’ più riparata, e appena la responsabile ha aperto la porticina è subito sgusciata fuori col suo musetto curioso e si è messa ad annusare e girovagare per tutta la cascina. Pesava circa 10 kg e dalle zampotte da lupacchiotta si vedeva che sarebbe diventata una cagnolina di media taglia. Oggi ha due anni e mezzo e pesa 24 kg .

Il primo giorno in casa non si è mossa dalla cuccia morbida che le avevamo preparato. Aveva troppa paura. Non ha neanche fatto pipì.

Il giorno dopo, con calma e circospezione, ha cominciato a esplorare la casa e il giardino.

Dopo qualche giorno di ambientamento ha cominciato a rivelarsi per il suo carattere giocoso e affettuoso. Ancora oggi ti guarda col suo musetto da birba quando sa di aver fatto qualcosa che non doveva….

Giada ha da subito portato una ventata di allegria e tenerezza.

Con i bambini è molto paziente e loro sono sempre stati incuriositi e interessati dal suo comportamento e dalle cure di cui necessita, nonostante siano ancora piccoli per potersene occupare loro in maniera autonoma.

E’ indubbiamente un piccolo essere di cui ci si deve prendere cura, ma non ho esitazioni nel dire che sono contentissima di averla con me e che non l’ho mai ritenuta un impegno che rubasse del tempo per altre cose.

Passare il tempo con lei e occuparmi di lei è sempre un piacere e un divertimento.

Tornare a casa dal lavoro e essere accolta da un vulcano di feste e coccole e allegria e voglia di giocare può davvero cambiare la giornata!

Il rapporto col cane

Avere un amico a quattro zampe in famiglia è sicuramente un’esperienza formativa e che può portare molti vantaggi in diversi aspetti quotidiani.

Ricordo che l’aspetto che da subito mi ha colpita di più è stato quello della compagnia, della presenza di un amico: un amico sincero, fedele e leale, che non ti giudica, che non ti serba rancore, che vuole proteggerti e starti vicino, che ti ama incondizionatamente.

Questo è sicuramente un aspetto che si può ritrovare in particolare con un “amico cane”: l’empatia che , pur non essendo stata dimostrata scientificamente, questi animali sembrano dimostrare nei confronti dello stato d’animo delle persone con cui interagiscono è una delle caratteristiche di fondamentale importanza anche nella pet therapy.

In compagnia di un cane non ci si sente soli, al contrario, ci si sente liberi di essere se stessi e di poter esprimere le proprie emozioni, a volte molto più naturalmente di quanto si riesca a fare con un amico umano.

E’ invece dimostrato come la sola presenza di un animale da compagnia riduca i livelli di stress e ansia e personalmente posso felicemente confermare: solo il vedere il musetto di Giada che mi guarda o meglio ancora fare una passeggiata con lei o vederla correre tutta contenta dietro a una pallina riempie il cuore di tenerezza e ti fa dimenticare i cattivi pensieri .

Accarezzarla, farle le coccole e vedere che si abbandona fidandosi completamente di te ti fa sentire amato e appagato e il prendersi cura di lei è una responsabilità per me sempre accompagnata dal divertimento.

L’addestramento

E’ importante ricordarsi, però, che il nostro amico animale va trattato come tale. E questo nel senso più positivo e naturale del termine perché per il loro stesso bene bisogna ricordarsi che gli animali non pensano come noi, che seguono schemi comportamentali diversi da quelli umani e che umanizzandoli, cioè trattandoli come delle persone, non si persegue il loro bene o la loro felicità ma al contrario si può addirittura caricarli di stress.

Ritengo quindi molto importante un minimo di conoscenza del comportamento e delle necessità dell’animale che intendiamo adottare.

Questo non significa che sia necessario un addestramento specifico e prolungato, ma una semplice educazione di base, sia da parte dell’animale che del padrone.

Mi faccio portavoce, ovviamente, dell’adozione di un cane.

Come tutti sappiamo, un cane si riconosce parte di un branco, e la base per una felice convivenza è che l’animale riconosca in uno di noi il capobranco, e non si metta lui stesso in questo ruolo.

Perché vi riconosca come tale ci sono poche ma fondamentali regole da seguire che si possono trovare elencate in tutti i manuali sull’argomento, anche se io consiglio sempre un paio di lezioni con una persona specializzata che possa individuare le particolarità dell’animale specifico e darvi i giusti consigli su come trattarlo.

Insegnare poi pochi e semplici comandi ( seduto, terra, zampa,..) è divertente e utile in principio per rafforzare il legame cane-padrone e l’autostima del cucciolo e sicuramente diventano comandi sfruttabili nella vita di tutti i giorni per gestire diverse situazioni.

Consiglio anche un minimo di conoscenza dei rapporti che possono instaurarsi tra gli animali stessi, e il modo che hanno di concepire e riconoscere il proprio territorio. Questo può aiutare a comprendere e quindi gestire il proprio animale con sicurezza anche nelle piccole difficoltà , come può essere l’incontro con un altro cane che può dimostrarsi rissoso o una persona sconosciuta che viene a farvi visita a casa vostra.

In ultimo, ma non per importanza: giocate con il vostro cane e divertitevi!!

 

Giada e i bambini

L’adozione di Giada è stato un mio grande sogno che ho realizzato, ma sicuramente il pensiero di accoglierla in casa con noi è maturato anche in funzione di cosa avrebbe potuto significare per i miei due bimbi.

Non ho mai pensato che l’accudimento di Giada potesse diventare una loro responsabilità, per lo meno non da subito.

I cani hanno un rapporto diverso con i bambini rispetto alle persone adulte. E’ curioso sapere che fino all’età di circa 10 anni i bambini vengono considerati dai cani come facenti parte di una razza diversa rispetto a quella umana. Essi fanno parte del “ branco famiglia” ma il cane percepisce che sono ad un livello di gerarchia inferiore rispetto a quello degli adulti.  E’ importante, perciò, che l’adulto di riferimento vigili costantemente sul rapporto e sulle dinamiche cane-bambini, perché il nostro amico a quattro zampe potrebbe, inizialmente, cercare di prevaricare i bambini nella linea gerarchica, solo per seguire il suo istinto di sopravvivenza animale. Questo, anche se può non essere visibile da subito o può sembrare non pericoloso, potrebbe invece diventarlo in situazioni anche banali in cui l’animale si possa poi sentire per qualche ragione “superato” dai bambini che lui credeva invece in una linea inferiore alla sua( come potrebbe essere un semplice posto a sedere sul divano o qualcosa da mangiare dato prima ai bambini piuttosto che a lui) .

Si deve tenere presente anche che i bambini piccoli possono spaventare l’animale con i loro movimenti veloci e il tono di voce più alto, e che quindi un cane adulto può avere difficoltà ad abituarsi a loro e ad accettarli, e potrebbe reagire semplicemente per paura. Questo è il motivo per il quale ho deciso di adottare un cucciolo: crescendo insieme a loro, Giada ha imparato a non temere i bambini, neanche gli estranei, e il suo modo tenerissimo di sottrarsi a qualche carezza troppo insistente dei cuccioli di uomo è di allontanarli con una bella leccata sul naso!

E’ importante anche, d’altra parte, insegnare ai bambini a rispettare l’amico animale, e a considerarlo non un giocattolo ma un essere vivente con diritti e doveri proprio come i loro, un amico vero e proprio che bisogna sapere amare ed accudire secondo le sue esigenze.

Questo è proprio quello che vorrei diventasse Giada per i miei bambini: un amico fidato, un compagno di giochi, di avventure, di tenerezze, un esempio di lealtà e di umiltà, un amico di cui doversi anche prendere cura e capire che ha esigenze diverse dalle nostre e delle quali dobbiamo sapere tenere conto nei programmi della giornata e non dimeticarcene. E vorrei che crescessero imparando ad amare e rispettare gli animali come parte della natura, cioè come degli esseri viventi che hanno anche loro come noi il diritto a vivere dignitosamente nel loro ambiente o al nostro fianco, e non per soddisfare un nostro capriccio o la voglia di un momento.

Giada, in poche parole, fa ormai parte della famiglia. Non mi sognerei mai di andare in vacanza senza di lei, né di pensare a noi senza di lei.

E’ un serbatoio di tenerezza, allegria e facce buffe che mi strappa mille sorrisi al giorno e che sono contenta di avere vicino e di poter rendere a mia volta felice.

 L’adozione

Vorrei spendere un’ultima parola riguardo l’adozione di un amico a quattro zampe.

Vorrei sottolineare che un cane, un gatto, un criceto, un coniglio….che entrano a far parte della nostra vita quotidiana come animali da compagnia sono effettivamente dei compagni, degli amici, degli esseri viventi con delle loro esigenze di cui dobbiamo prenderci cura con affetto, e non considerarli come una nostra proprietà.

Il solo pensare alla parola “acquisto” riferito ad un cucciolo mi riempie di disgusto.

Un animale non è simbolo di prestigio, di benestare, o di qualunque altra cosa uno voglia dimostrare acquistando a caro prezzo un animale di razza o un animale raro, o esotico, o selvatico.

Nel caso di animali tenuti poi in gabbia io vedo solo l’umiliazione e il completo sradicamento dell’animale dalla sua natura.

Nel caso di animali da compagnia come cani o gatti vedo l’espressione dell’egoismo umano.

Ci sono milioni di cani e gatti abbandonati che valgono tanto quanto o anche di più, nella loro unicità, un animale di razza.

Adottare un cucciolo è sicuramente un impegno al quale bisogna prepararsi e su cui bisogna riflettere. Ci vuole impegno e costanza nell’educazione, nella cura e nella pulizia, dell’animale e dell’ambiente.

Chi vuole adottare un cucciolo dovrebbe pensare ad un compagno con cui condividere esperienze ed mozioni, parte di vita, non un  giocattolo o un accessorio.

Il rispetto degli animali fa parte del rispetto per la natura, l’ambiente, il mondo dove tutti noi viviamo ogni giorno, ed è nostro diritto/dovere ammirarlo nella sua bellezza e preservarla come tale.

NON SONO UNA PSICOLOGA

Io non sono una psicologa. Sono solo una mamma.

Eppure ho scritto di argomenti che hanno a che fare con la psicologia, soprattutto in merito a relazioni conflittuali con i bambini.

Mi sono chiesta molte volte se avesse un senso raccogliere e in qualche modo rendere accessibile ad altri ciò che ho imparato durante gli ultimi 8 anni, che per me e i miei figli sono risultati un po’ difficili.

Ha senso proporre un’esperienza comune, argomenti su cui si è già detto tutto e su cui molte persone sono più competenti di me?

Ho deciso di farlo innanzitutto per me stessa. Per raccogliere i miei pensieri in maniera ordinata e fare in modo di riuscire a ritrovarli nel momento del bisogno. Per non lasciare che tante riflessioni e insegnamenti andassero perduti o dimenticati.

La vita è spesso difficile, le strade che percorriamo sono molteplici e mi sono accorta che spesso nelle relazioni utilizziamo una grande quantità di energie  e di risorse per essere di aiuto a qualcuno, utilizzando inconsapevolmente modalità che si rivelano alla fine controproducenti, verso se stessi e verso le persona che si intende aiutare.

E’ come se percorressimo una strada sbagliata per arrivare ad una buona meta, un modo sbagliato per raggiungere un ottimo fine.

Trovare la strada giusta è ovviamente difficile, anche perché non esiste un’unica strada. Ognuno di noi può trovarne una che sia più adatta alle sue esigenze e a quelle delle persone con cui si relaziona.

Quello che ho fatto io è stato interrogarmi su me stessa, cercare di capire ed esplicitare i meccanismi e i ragionamenti che mi portavano a reazioni che facevano soffrire me e i miei cari.

Una volta riconosciuti quelli negativi, si può cercare di modificarli un poco, quando e se ci si riesce, con molta pazienza e costanza. Bisogna essere consapevoli che anche riconosciuti i comportamenti da migliorare non è immediato riuscire nell’intento. Spesso sono reazioni che mettiamo in atto in maniera automatica, così come per automatismo abbiamo imparato a camminare a parlare.

Il riconoscere queste reazioni automatiche aumenta il livello di consapevolezza di sé, del nostro mondo interiore e del funzionamento della nostra mente nelle situazioni anche solo di piccola difficoltà. Arricchiti di questa consapevolezza si può cercare di modificare e migliorare, a volte riuscendovi ed altre volte no, la strada sbagliata che automaticamente è stata intrapresa. Anche solo il fatto di aver individuato gli “errori” ci rende più tolleranti verso noi stessi quando non riusciamo a correggerci e indulgenti verso la nostra fragilità quotidiana.

Il vedere che anche solo piccoli cambiamenti mi portavano ad enormi miglioramenti nelle relazioni con i miei figli mi ha dato la forza necessaria a continuare su questa strada, a continuare a scavare più in fondo me stessa e continuare a provare a modificare il mio abituale modo di affrontare le cose, che aveva fatto soffrire me e i miei cari.

In questo spazio vorrei raccogliere e presentare gli aiuti che mi sono stati fondamentali per iniziare ed affrontare questo percorso di crescita personale, pensando che un’ennesima sfaccettatura degli argomenti di riflessione proposti possa essere anche di interesse per qualcuno che non abbia ancora trovato le parole che interpretino correttamente i suoi pensieri.

Essere mamma

Una volta qualcuno mi ha chiesto cosa significa avere dei figli.

E io mi sono resa conto di averci pensato razionalmente per la prima volta solo allora, per rispondere ad una domanda…quando i miei figli avevano ormai 4 e 7 anni.

Avere figli non significa soltanto non potere più uscire la sera o andare a correre quando ti pare.

Avere figli significa fondamentalmente mettersi continuamente in discussione. Avere un’altra vita che dipende da te ma che devi imparare a crescere in modo che diventi indipendente.

Significa essere pronti a porsi continue domande, ad imparare continuamente, a non dare nulla per assodato. I figli crescono e crescono in fretta e le loro esigenze cambiano continuamente, non esiste un metodo che una volta imparato può essere applicato sempre. A 3 mesi serve una mamma pronta in pappe, pannolini, passeggiate in passeggino, a 17 anni serve una mamma comprensiva, paziente, alla moda, confidente.

Essere genitori significa essere pronti a guardare il mondo da un punto di vista nuovo…anche a tornare un po’ bambini  e riscoprire la bellezza di stupirsi di fronte a cose semplici: una farfalla che vola, un castello di sabbia, una macchina che corre veloce.

I figli sono una responsabilità e un piacere.  La responsabilità deriva ovviamente dal ritrovarsi a dover educare a crescere una vita nuova, anche da questa educazione dipenderà il suo futuro.

Educare non significa soltanto “insegnare”. Io credo che l’insegnamento sia parte delle cose divertenti che i genitori possono fare con i propri figli.

Educare significa invece fornire un modo, un metodo di affrontare la vita. Questo metodo deriva in primo luogo dall’esempio che noi genitori diamo ai nostri figli. Da come noi stessi viviamo e ci comportiamo. Il ripetersi di routine e schemi comportamentali diverrà parte del bagaglio che i nostri figli si porteranno sempre dietro e che loro stessi, anche inconsapevolmente, attueranno e metteranno in pratica come automatismi.

Dalla mia breve esperienza,  credo che la cosa più importante che un genitore possa insegnare al proprio figlio sia l’indipendenza. Con ciò non voglio intendere solo l’indipendenza economica, il “farcela da solo”,  ma molto più radicalmente l’indipendenza di pensiero. Non temere il giudizio degli altri, avere una mente aperta, non considerare le diversità come un pericolo ma come una fonte di insegnamento , essere curiosi del mondo e dei suoi abitanti. Sono tutte caratteristiche che io considero fondamentali per poter apprezzare i lati più belli della vita su questo mondo e per instaurare e mantenere delle buone relazioni con gli altri, e tutte richiedono di base la capacità di pensare con la propria testa, di non farsi trascinare da un pensiero collettivo, di non farsi convincere da poche parole ma cercare di esprimere giudizi e opinioni solo in seguito a ricerche di informazioni fatte personalmente, quando possibile.

Una persona che sa camminare sulle proprie gambe rispetta e stima se stessa, sa amare se stessa ed è pronta e aperta a ricevere e dare amore anche agli altri in maniera serena ed equilibrata.

Questa è la ricerca della felicità e della serenità. Questo è il lato più difficile dell’educazione dei figli, anche perché molte volte implica comportamenti e scelte che possono sembrare irrazionali, non comuni,  anche difficili e dolorose, a volte, e i cui effetti benefici possono non essere evidenti in breve tempo.

Insegnare ai bambini e ai propri figli, invece, delle cose specifiche, è una delle cose più belle e divertenti e soddisfacenti che si possano fare.  A partire dal trasmettere la stessa voglia di conoscere, di imparare, la curiosità per il nuovo, per il mondo, per la conoscenza delle altre persone.

Sin da bambini i nostri figli devono imparare da noi che conoscere e studiare è bello e dà soddisfazione.

Gli strumenti per trasmettere la voglia di imparare e di conoscere possono essere molteplici. Il primo tra tutti credo sia la lettura. Leggere per studiare ma anche solo per viaggiare con la mente, per vivere un’avventura restando seduti nella propria camera. Leggere per sognare. Di questo ho già parlato in un altro articolo.

Un altro strumento è l’osservazione. Osservare stimola la curiosità e la voglia di conoscere come sono fatte le cose, come funzionano. Siano esse oggetti o animali.

Cercare informazioni , su internet, sui libri, sui giornali. Anche solo per rispondere ad un piccolo dubbio o dimenticanza sopravvenuta quasi per caso.

Discutere e parlare, confrontarsi. Aprire la mente a modi diversi di ragionare e di vedere la realtà, conoscere persone diverse che vivono in modi diversi.

Sapere di aver trasmesso qualcosa ai miei figli mi riempie di gioia e di soddisfazione. Rivedere in loro i miei insegnamenti e vedere che ne traggono giovamento mi fa anche sentire felice e appagata, ripagata della fatica fatta nei giorni difficili.

Trasmettere la voglia di imparare e di conoscere , sapere di dar loro la voglia di apprezzare il mondo in cui viviamo e la possibilità di vivere sereni mi fa trovare un senso alla vita.

VADEMECUM PER MAMME

Prontuario di sopravvivenza per mamme:

  • Amarsi e non giudicarsi
  • Non soccombere sotto i mille consigli che tutti sono pronti a darti, ragiona con la tua testa
  • Parlare con amici e persone con cui si condivide qualcosa
  • Esprimi le tue emozioni e le tue esigenze, i tuoi bisogni
  • Pensa a te stessa
  • Fai qualcosa che ti piace almeno mezz’ora al giorno (leggere, guardare la tv, correre, andare sulla cyclette se non si può uscire di casa)
  • Fate con i vostri figli qualcosa che piace fare anche a voi: lavoretti, leggere, passeggiare, godete del tempo con i vostri figli e non sentitevi in colpa se non avete voglia di giocare con lui 24h/24h!!
  • Parla con il tuo partner ogni volta che puoi, di qualsiasi cosa
  • Delega, delega , delega: la spesa, il cambio del pannolino, il ritiro dei figli a scuola, il preparare la cena, il far partire la lavatrice, il fare i compiti con i bambini. Si deve lavorare in squadra!
  • Responsabilizza i tuoi figli e rendili partecipi della vita di famiglia
  • Concediti, ogni tanto, una serata col tuo partner o un pomeriggio con le amiche, solo per te.

 

Ricordarsi e ripetersi soprattutto che sbagliare è il primo modo per imparare e che per bimbi felici servono mamme felici!!!

NEOMAMME Per ogni neo-nato…nasce una neo-mamma!

La condizione di neo mamma è molto delicata: a partire dalla nascita del bambino, fin dai primi momenti in ospedale, tutta l’attenzione è rivolta al piccolo neonato e ci si dimentica di vedere e fare attenzione anche alla “neomamma” appena nata. Si è sottoposte al giudizio di un’infinità di parenti e conoscenti, subito pronti a sfornare pareri e consigli su come sia meglio accudire e crescere il bebè….e la mamma?

E’ ovviamente implicito nella condizione di neo mamma accettare in prima persona di essere messa in secondo piano rispetto al bebè, ma per mia esperienza ci va una buona dose di equilibrio, insieme al supporto del proprio partner, dei nonni e degli amici, per  superare questa fase serenamente e senza farsi soffocare dai sensi di colpa e di inadeguatezza.

Il primo figlio è sempre uno stravolgimento. Non solo dell’organizzazione materiale e temporale delle proprie giornate, ma più radicalmente del proprio modo di pensare.

Cambiano le priorità: una nuova vita indifesa e bisognosa di tutto è entrata nel nostro mondo da un momento all’altro e si è anche posta in cima alla “lista dei doveri”.

Un nuovo corpicino che si esprime in maniera non molto ben definita è ora davanti ai nostri occhi e si aspetta tutto da noi, per la sua stessa sopravvivenza.

Nessuno di noi nasce “genitore imparato”. Si impara vivendo, facendo e soprattutto sbagliando.

Nella società di oggi è forte il sentimento del doversi “dimostrare all’altezza” di una qualunque situazione, di cercare l’approvazione degli altri seguendo schemi e comportamenti convenzionali, che possono anche non confacersi al nostro carattere.

Il messaggio che vorrei portare alle neo-mamme è quello di non aver paura di mostrare le proprie esigenze, le proprie preoccupazioni, i propri timori, e, nei limiti del possibile, di non rinunciare sempre a se stesse e ai propri bisogni.

Il neonato mangia, dorme ma soprattutto piange, questo è il suo modo di esprimersi. Ha bisogno di voi per la propria sopravvivenza, ma ricordatevi che la sua felicità dipende anche dalla vostra felicità e serenità. Come si dice sempre, i bambini piccoli sono delle spugne emotive che assorbono tutti i vostri stati d’animo. Per cui, non abbiate paura delle vostre insicurezze, fate affidamento sull’aiuto del vostro partner e se possibile condividete con amiche in situazioni simili i vostri dubbi e le vostre paure. Questo vi aiuterà ad essere maggiormente consapevoli della vostra situazione e anche a riuscire a vedere voi stesse da un altro punto di vista e a rilassarvi in merito alle aspettative che tutti coloro che vi circondano sembrano avere in voi come mamme.

L’aiuto e la comprensione del partner è sicuramente fondamentale, in questo periodo di così grande debolezza, per la mamma e per il neonato. Il papà, infatti, non è coinvolto così intimamente nel rapporto con il neonato e può fornire un supporto prezioso in situazioni di stanchezza, fisica ed emotiva, di ascolto e comprensione.

Lo stesso rapporto di coppia è messo fortemente alla prova con la nascita del primo figlio. Le esigenze della donna cambiano e si sommano a quelle del nuovo arrivato. Il papà deve essere pronto e disponibile a comprendere ed accettare entrambe .

Il dialogo tra i due genitori è sempre il mezzo di maggior efficacia per mantenere saldo il rapporto ed anzi, migliorarlo e renderlo ancora più forte.

Inoltre, il confronto quotidiano, lo scambio di esperienze con altre mamme che vivono le stesse preoccupazioni è di sicuro uno degli aiuti più importanti per non sentirsi soli, inadeguati e frustrati dai primi approcci col piccolo nuovo arrivato.

Il periodo dell’arrivo di un bebè è uno dei più magici che attraversiamo in tutta la vita, non lasciamo che la serenità familiare venga in qualche modo offuscata da  stanchezza o imposizioni esterne. Che il neo arrivato sia felice dipende da voi, neo-mamme, siatelo voi innanzittutto e dategli il giusto esempio!