NON SONO UNA PSICOLOGA

Io non sono una psicologa. Sono solo una mamma.

Eppure ho scritto di argomenti che hanno a che fare con la psicologia, soprattutto in merito a relazioni conflittuali con i bambini.

Mi sono chiesta molte volte se avesse un senso raccogliere e in qualche modo rendere accessibile ad altri ciò che ho imparato durante gli ultimi 8 anni, che per me e i miei figli sono risultati un po’ difficili.

Ha senso proporre un’esperienza comune, argomenti su cui si è già detto tutto e su cui molte persone sono più competenti di me?

Ho deciso di farlo innanzitutto per me stessa. Per raccogliere i miei pensieri in maniera ordinata e fare in modo di riuscire a ritrovarli nel momento del bisogno. Per non lasciare che tante riflessioni e insegnamenti andassero perduti o dimenticati.

La vita è spesso difficile, le strade che percorriamo sono molteplici e mi sono accorta che spesso nelle relazioni utilizziamo una grande quantità di energie  e di risorse per essere di aiuto a qualcuno, utilizzando inconsapevolmente modalità che si rivelano alla fine controproducenti, verso se stessi e verso le persona che si intende aiutare.

E’ come se percorressimo una strada sbagliata per arrivare ad una buona meta, un modo sbagliato per raggiungere un ottimo fine.

Trovare la strada giusta è ovviamente difficile, anche perché non esiste un’unica strada. Ognuno di noi può trovarne una che sia più adatta alle sue esigenze e a quelle delle persone con cui si relaziona.

Quello che ho fatto io è stato interrogarmi su me stessa, cercare di capire ed esplicitare i meccanismi e i ragionamenti che mi portavano a reazioni che facevano soffrire me e i miei cari.

Una volta riconosciuti quelli negativi, si può cercare di modificarli un poco, quando e se ci si riesce, con molta pazienza e costanza. Bisogna essere consapevoli che anche riconosciuti i comportamenti da migliorare non è immediato riuscire nell’intento. Spesso sono reazioni che mettiamo in atto in maniera automatica, così come per automatismo abbiamo imparato a camminare a parlare.

Il riconoscere queste reazioni automatiche aumenta il livello di consapevolezza di sé, del nostro mondo interiore e del funzionamento della nostra mente nelle situazioni anche solo di piccola difficoltà. Arricchiti di questa consapevolezza si può cercare di modificare e migliorare, a volte riuscendovi ed altre volte no, la strada sbagliata che automaticamente è stata intrapresa. Anche solo il fatto di aver individuato gli “errori” ci rende più tolleranti verso noi stessi quando non riusciamo a correggerci e indulgenti verso la nostra fragilità quotidiana.

Il vedere che anche solo piccoli cambiamenti mi portavano ad enormi miglioramenti nelle relazioni con i miei figli mi ha dato la forza necessaria a continuare su questa strada, a continuare a scavare più in fondo me stessa e continuare a provare a modificare il mio abituale modo di affrontare le cose, che aveva fatto soffrire me e i miei cari.

In questo spazio vorrei raccogliere e presentare gli aiuti che mi sono stati fondamentali per iniziare ed affrontare questo percorso di crescita personale, pensando che un’ennesima sfaccettatura degli argomenti di riflessione proposti possa essere anche di interesse per qualcuno che non abbia ancora trovato le parole che interpretino correttamente i suoi pensieri.

Esprimere le emozioni

Le emozioni. Tutti noi pensiamo di saperle riconoscere, esprimere, chiamare per nome.

In realtà sapere definire bene l’emozione che ci sta accompagnando in una determinata occasione richiede una buona dose di introspezione e di onestà verso se stessi.

Non conoscere e non esprimere le proprie emozioni è un’abitudine che può rivelarsi pericolosa per nostro benessere psicofisico.

Una persona che non esprime le proprie emozioni o non le riconosce o non sa spiegarsi da dove esse vengano, come siano generate, non conosce se stessa e prima o poi riconoscerà di sentirsi “contenuta”, di non riuscire ad essere pienamente se stessa.

Andarsene in giro per il mondo con i “freni emotivi” perennemente tirati limita la capacità di gioire, di imparare, di crescere e diventare una persona adulta e matura.

Ascoltare il flusso delle emozioni che ci pervade ogni momento è il sentirsi vivi. E’ il sentire che siamo persone con una coscienza e una consapevolezza di sé, è riuscire a guardare la realtà e le altre persone per quello che sono, come fonte di ispirazione dei nostri sentimenti.

Per questo è importante fin da bambini intraprendere un percorso di alfabetizzazione delle emozioni.

La competenza emotiva di un bambino, ossia la capacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni e di riconoscere e rispondere in maniera appropriata alle emozioni altrui, varia a seconda dell’età del bambino e del contesto sociale in cui vive: ad esempio, è stato dimostrato che parlare in famiglia delle emozioni sia proprie che altrui (Dunn, Brown, 1994) permette ai bambini di affrontare meglio le proprie emozioni, di comprendere le emozioni altrui, di condividere le esperienze emotive con gli altri e di relazionarsi in maniera più appropriata con gli altri. Inoltre, durante l’età prescolare, come ci riporta Piaget, nel bambino si sviluppa la cosiddetta “teoria della mente” che consente allo stesso di attribuire all’altro intenzioni, desideri, pensieri ed emozioni che possono essere differenti dai propri; il bambino riesce, dunque, ad assumere una prospettiva diversa dalla propria.

Spiegare ai bambini cosa sono le emozioni, denominarle e insegnare loro delle strategie di gestione delle stesse non sempre risulta un compito semplice per i genitori, in quanto anche se si è raggiunta una buona consapevolezza di sé, è necessario l’utilizzo di un linguaggio e di un metodo che possa essere compreso adeguatamente dai bambini. E’ necessario capire il proprio bambino ed entrare in sintonia con lui.

Le emozioni emergono precocemente nella vita di ciascun individuo e secondo Ekman e Friesen già nelle prime settimane di vita è possibile riscontrare la presenza di 6 emozioni primarie innate e universali: la gioia, la tristezza, la rabbia, la paura, il disgusto, la sorpresa ( Avete visto “inside out?”). Nel corso dello sviluppo, le emozioni cambiano a causa sia della maturazione biologica sia dei processi di socializzazione primaria e secondaria ed emergono delle nuove emozioni: ad esempio, la colpa, la vergogna e l’orgoglio compaiono verso il secondo e terzo anno di vita. Col tempo, le emozioni cominceranno ad essere attivate in situazioni differenti e saranno regolate con comportamenti sempre più accettati socialmente.

E’ naturale, poi, tendere a classificare le emozioni come positive e negative, e in un certo senso rendere implicito in molti nostri comportamenti o proposizioni che le emozioni negative non sia bene manifestarle.

In genere le emozioni negative sono sentimenti dolorosi, di tristezza o rabbia o frustrazione.

Bisogna però rendersi conto che reprimere i sentimenti che fanno male non significa automaticamente farli sparire. Ogni sentimento deve in qualche modo trovare uno sbocco o tenendoli nascosti diventeranno di solito più grandi e più forti e ricompariranno sotto forma di altri sintomi.

Oltretutto, quando le emozioni non vengono condivise, ci si può sentire molto soli e spaventati, i sentimenti dolorosi non condivisi tendono a crescere. Invece, quando si racconta a qualcuno le proprie emozioni, queste sembrano poi meno spaventose e gigantesche, e si trova la forza e la via giusta per affrontarle.

In poche parole, le emozioni represse non sono sopite. Come dice Freud, esse “proliferano nel buio”.

Quello che possiamo fare, quindi è insegnare ai bambini a riconoscere le proprie emozioni, di qualunque tipo, dando loro un nome e senza classificarle come negative o positive. E poi a rielaborarle, affiancandoli con pazienza quando serve, dedicando loro tempo di qualità e cercando davvero di ascoltarli e capirli.

Se questo tipo di aiuto è costante le emozioni cominceranno ad essere considerate come utili indicazioni per decidere come agire, per comprendere di cosa abbia bisogno e quali siano i suoi desideri, e non più come una minaccia.

LEGGERE. PERCHE’ ?

“Devi leggere”  ti senti dire dalla maestra.

“ Devi leggere” ti senti dire dai genitori.

Ma perché? Perché leggere sembra essere così importante? Per i bambini ma anche per gli adulti?

Oltre al fatto che leggere ( e scrivere ) è ormai una questione di sopravvivenza nella società di oggi, per poter comunicare e ricevere informazioni, per poter trovare un indirizzo come per capire l’etichetta della merendina per i nostri figli, leggere è qualcosa di più.

Mi ricordo che da bambina c’era una serie di giornalini di storie, corredati di audiocassetta, che uscivano in edicola periodicamente….e rivedendo adesso le illustrazioni di quelle storie, quando le ho prese di nuovo in mano per leggere con i miei figli, mi sono quasi stupita che fossero solo dei disegni inanimati e non dei personaggi con vita propria esistiti per davvero, chissà quando e chissà dove.

E mi ricordo lo stupore di mia figlia quando ha visto per la prima volta in tv lo sceriffo Woody di Toy Story, che lei conosceva solo come personaggio di un libro. Chissà come se l’era immaginato, e chissà che sorpresa vederlo vivere in televisione forse un po’ diverso da come l’aveva immaginato lei.

Leggere è immaginare, viaggiare, crescere, imparare.

Se leggo un manuale sto imparando cose nuove, di qualsiasi tipo esse siano ( dalla cucina all’informatica), se leggo un romanzo sto viaggiando nel tempo e/o nello spazio senza muovermi dalla scrivania ma soprattutto sto guardando il mondo e la vita con gli occhi di un altro.

Leggere stimola l’immaginazione e la fantasia, ci fa sognare e ci fa divertire.

Potendo anche spaziare tra diversi generi nella scelta delle letture ci porta davvero ad aprire sempre di più la nostra mente. Ci rendiamo conto delle differenze che esistono al mondo, tra le varie culture ma anche solo tra te e il tuo vicino di casa.

Aprendo la mente e rendendosi conto delle differenze si può crescere con la consapevolezza che si vive integrati in un mondo vastissimo per pensieri, religioni, culture, ambienti , e che non esiste una sola unica verità su niente.

Si cresce capendo che il confronto con le altre persone è importante, ed è forse l’esperienza più bella che si possa fare in ogni occasione.

Si cerca di superare le convenzioni sociali alle quali la società e l’ambiente in cui viviamo ci abitua, piano piano, mentre noi diventiamo grandi pensando che quello che vediamo sia la “normalità” per tutti in tutto il mondo.

Per questo è importante far germogliare il seme della lettura nei bambini, in loro che ancora ragionano non essendo offuscati dagli schemi sociali e per i quali  accogliere ed accettare la diversità è una cosa del tutto naturale.

Leggere è un modo per imparare da soli, senza insegnante, e chi lo sa apprezzare non finirà mai di cercare nuovi stimoli o nuovi argomenti da esplorare, senza porsi limiti.

I bambini amano essere stimolati.

Leggere per loro deve essere un piacere, una cosa divertente e non un compito imposto dalla maestra o dai genitori.

Sforzo a credere che esistano dei bambini a cui non possa piacere, sono più propensa a credere che a questi ultimi la lettura non venga proposta nel modo giusto. Per queste piccole personcine con un pensiero così acuto far lavorare l’immaginazione è la cosa più bella che esista.

Immaginatevi di ritrovare su un libro l’immagine di un mondo lontano di draghi o di principesse che voi stesse stavate sognando….pensate allo stupore che ne deriva! Pensate alle emozioni che si sprigionano nel vivere storie fantastiche  ed impersonarsi in cavalieri d’altri tempi o supereroi spaziali…tutto questo non può essere noioso.

Aprire un libro non deve essere una forzatura. Deve essere una cosa che i bambini stessi possono e vogliono fare, a partire dal guardare le figure o le pagine scritte.  Per questo, nella mia esperienza, è importante proporre i libri giusti e non curarsi troppo di quanto siano “all’altezza” dell’età del bambino. L’importante è in primo luogo far nascere il piacere, l’amore per la lettura. Poi piano piano si arriverà a curare anche l’aspetto delle difficoltà, che può e deve essere crescente con l’età, sia in termini di lessico utilizzato si in termini di contenuti e lunghezza del testo.

Per i più piccoli ( io direi anche fino ai 6 anni) all’inizio leggere può essere un gioco, da fare insieme a mamma e papà, in cui ciascuno di noi interpreta un personaggio. Leggete ai vostri figli come se foste un attore di teatro, interpretando i vari personaggi con voci diverse, esprimendo emozioni con il volto, facendo facce strane e anche gesti. L’immaginazione del bambino sarà sicuramente stimolata e il piccolo vorrà poi ricreare le situazioni descritte giocando con voi e vi chiederà di leggere e rileggere sempre la stessa storia o anche solo una piccola parte di essa.

Assecondatelo. Non abbiate paura di fare e rifare le stesse cose. Vedrete che ogni volta si aggiungerà un particolare, una frase, un’emozione che la volta precedente non avevate colto o a cui non avevate pensato.

Sta a voi, magari, porre di volta in volta l’accento su un personaggio piuttosto che un altro.

Questa è la bellezza della lettura ad alta voce, che tutti apprezziamo, bambini ed adulti.

Poi viene il tempo di imparare a leggere da soli. Cercate si accompagnare sempre le lettere e l’eventuale testo con delle belle immagini. Quando iniziano a leggere poche frasi da soli, cominciate s ondare quali possano essere le preferenze del bambino, in termini di argomenti di lettura. Se preferisce storie di principesse piuttosto che leggere la pagina di una piccola enciclopedia per bambini illustrata ( ce ne sono tantissime scritte apposta e che contengono un sacco di curiosità per esempio sugli animali. I miei figli adorano ascoltare questo tipo di storie prima di andare a letto!). Non forzatelo mai ad iniziare….piuttosto iniziate prima voi la pagina e fatelo continuare. Oppure leggete prima voi il brano, sempre a voce alta, e poi chiedetegli di rileggerlo per voi. La difficoltà di lettura, conoscendo il testo, è minore ed il bambino si sente più sicuro.

Piano piano, con un po’ di pratica, acquisterà fiducia e leggere diventerà un automatismo.

Fino ad allora aiutatelo, non fategli sentire la fatica dell’imparare come preponderante rispetto al piacere di imparare cose nuove o di sentire una bella storia.

All’inizio fate attenzione a proporre testi semplici, brevi, scritti con un buon contrasto e con caratteri leggibili e di facile interpretazione, ricchi di immagini.

Non abbiate fretta a passare allo step successivo. Questo verrà da sé, se il bambino si sente pronto e sicuro ed è allo stesso tempo stimolato nel modo giusto.

Una volta che la lettura o anche solo il guardare i libri diventa un piacere, sarà il bambino stesso a ricercarla, senza farselo imporre come “compito”, o comunque accettando con piacere ogni proposta.

Accompagnatelo sempre nella lettura, ascoltatelo, sedetevi vicino. Una cosa che per voi è importante lo sarà sicuramente anche per lui. Dimostrate il vostro interesse e la vostra attenzione per ciò che sta facendo ( questo vale per ogni attività da svolgere insieme o da soli).
Per me, leggere per i miei figli e vedere i loro occhi spalancati e sognanti e le sue manine che si aggrappano alle vostre braccia chiedendovi di leggere ancora è una delle cose più belle che io possa fare con loro. Insieme a loro viaggio anche io, leggendo le storie per bambini ridivento anche io un po’ bambina e ridere insieme ci fa sentire uniti e vicini, in sintonia. La soddisfazione più grande è essere riuscita a stimolare il loro interesse , le loro domande, i loro dubbi, perché la curiosità è sintomo di intelligenza e di vivacità d’animo.

Leggere è anche un modo per allontanare la noia e i cattivi pensieri. Mi ricordo di un pomeriggio quando mio figlio di 4 anni sembrava essere irrimediabilmente stanco e annoiato. Non voleva guardare un libro con me, ma io ho iniziato comunque a leggergli una storia divertente, adatta per lui. E’ stato divertentissimo guardarlo mentre cercava di trattenersi dall’avvicinarsi a me per guardare le figure, e quando gli sembrava che io fossi concentrata sulla lettura, allungava il collo per osservare il libro….alla fine mi ha chiesto di rileggere la storia da capo perché non l’aveva sentita e insieme  a lui si è seduta vicina a me anche la sorella maggiore!

Oppure quando all’uscita da suola mi ritrovo circondata da bambini di tutte le età che mi ascoltano leggere la storia, che stavo leggendo sempre con mio figlio piccolo in attesa dell’uscita anche della sorella.

In un altro periodo mi ricordo, invece, che i miei figli si erano appassionati di un atlante geografico illustrato che raccontava di quali animali vivessero in ogni parte del mondo. Ogni sera viaggiavamo in Sud America, o in Cina per incontrare i Panda o gli avvoltoi o altri animali che loro si immaginavano mangiare e combattere e accudire i piccoli a seconda di quello che leggevamo.

Quell’Atlante ovviamente ce l’ho ancora e ogni tanto lo risfogliamo….e scopriamo di aver imparato delle cose, e di poter aggiungere delle nuove informazioni magari ricavate da altre fonti, a quelle che il libro ci propone.

Leggere è sempre una scoperta, per i bambini e per gli adulti.

Essere mamma

Una volta qualcuno mi ha chiesto cosa significa avere dei figli.

E io mi sono resa conto di averci pensato razionalmente per la prima volta solo allora, per rispondere ad una domanda…quando i miei figli avevano ormai 4 e 7 anni.

Avere figli non significa soltanto non potere più uscire la sera o andare a correre quando ti pare.

Avere figli significa fondamentalmente mettersi continuamente in discussione. Avere un’altra vita che dipende da te ma che devi imparare a crescere in modo che diventi indipendente.

Significa essere pronti a porsi continue domande, ad imparare continuamente, a non dare nulla per assodato. I figli crescono e crescono in fretta e le loro esigenze cambiano continuamente, non esiste un metodo che una volta imparato può essere applicato sempre. A 3 mesi serve una mamma pronta in pappe, pannolini, passeggiate in passeggino, a 17 anni serve una mamma comprensiva, paziente, alla moda, confidente.

Essere genitori significa essere pronti a guardare il mondo da un punto di vista nuovo…anche a tornare un po’ bambini  e riscoprire la bellezza di stupirsi di fronte a cose semplici: una farfalla che vola, un castello di sabbia, una macchina che corre veloce.

I figli sono una responsabilità e un piacere.  La responsabilità deriva ovviamente dal ritrovarsi a dover educare a crescere una vita nuova, anche da questa educazione dipenderà il suo futuro.

Educare non significa soltanto “insegnare”. Io credo che l’insegnamento sia parte delle cose divertenti che i genitori possono fare con i propri figli.

Educare significa invece fornire un modo, un metodo di affrontare la vita. Questo metodo deriva in primo luogo dall’esempio che noi genitori diamo ai nostri figli. Da come noi stessi viviamo e ci comportiamo. Il ripetersi di routine e schemi comportamentali diverrà parte del bagaglio che i nostri figli si porteranno sempre dietro e che loro stessi, anche inconsapevolmente, attueranno e metteranno in pratica come automatismi.

Dalla mia breve esperienza,  credo che la cosa più importante che un genitore possa insegnare al proprio figlio sia l’indipendenza. Con ciò non voglio intendere solo l’indipendenza economica, il “farcela da solo”,  ma molto più radicalmente l’indipendenza di pensiero. Non temere il giudizio degli altri, avere una mente aperta, non considerare le diversità come un pericolo ma come una fonte di insegnamento , essere curiosi del mondo e dei suoi abitanti. Sono tutte caratteristiche che io considero fondamentali per poter apprezzare i lati più belli della vita su questo mondo e per instaurare e mantenere delle buone relazioni con gli altri, e tutte richiedono di base la capacità di pensare con la propria testa, di non farsi trascinare da un pensiero collettivo, di non farsi convincere da poche parole ma cercare di esprimere giudizi e opinioni solo in seguito a ricerche di informazioni fatte personalmente, quando possibile.

Una persona che sa camminare sulle proprie gambe rispetta e stima se stessa, sa amare se stessa ed è pronta e aperta a ricevere e dare amore anche agli altri in maniera serena ed equilibrata.

Questa è la ricerca della felicità e della serenità. Questo è il lato più difficile dell’educazione dei figli, anche perché molte volte implica comportamenti e scelte che possono sembrare irrazionali, non comuni,  anche difficili e dolorose, a volte, e i cui effetti benefici possono non essere evidenti in breve tempo.

Insegnare ai bambini e ai propri figli, invece, delle cose specifiche, è una delle cose più belle e divertenti e soddisfacenti che si possano fare.  A partire dal trasmettere la stessa voglia di conoscere, di imparare, la curiosità per il nuovo, per il mondo, per la conoscenza delle altre persone.

Sin da bambini i nostri figli devono imparare da noi che conoscere e studiare è bello e dà soddisfazione.

Gli strumenti per trasmettere la voglia di imparare e di conoscere possono essere molteplici. Il primo tra tutti credo sia la lettura. Leggere per studiare ma anche solo per viaggiare con la mente, per vivere un’avventura restando seduti nella propria camera. Leggere per sognare. Di questo ho già parlato in un altro articolo.

Un altro strumento è l’osservazione. Osservare stimola la curiosità e la voglia di conoscere come sono fatte le cose, come funzionano. Siano esse oggetti o animali.

Cercare informazioni , su internet, sui libri, sui giornali. Anche solo per rispondere ad un piccolo dubbio o dimenticanza sopravvenuta quasi per caso.

Discutere e parlare, confrontarsi. Aprire la mente a modi diversi di ragionare e di vedere la realtà, conoscere persone diverse che vivono in modi diversi.

Sapere di aver trasmesso qualcosa ai miei figli mi riempie di gioia e di soddisfazione. Rivedere in loro i miei insegnamenti e vedere che ne traggono giovamento mi fa anche sentire felice e appagata, ripagata della fatica fatta nei giorni difficili.

Trasmettere la voglia di imparare e di conoscere , sapere di dar loro la voglia di apprezzare il mondo in cui viviamo e la possibilità di vivere sereni mi fa trovare un senso alla vita.

VADEMECUM PER MAMME

Prontuario di sopravvivenza per mamme:

  • Amarsi e non giudicarsi
  • Non soccombere sotto i mille consigli che tutti sono pronti a darti, ragiona con la tua testa
  • Parlare con amici e persone con cui si condivide qualcosa
  • Esprimi le tue emozioni e le tue esigenze, i tuoi bisogni
  • Pensa a te stessa
  • Fai qualcosa che ti piace almeno mezz’ora al giorno (leggere, guardare la tv, correre, andare sulla cyclette se non si può uscire di casa)
  • Fate con i vostri figli qualcosa che piace fare anche a voi: lavoretti, leggere, passeggiare, godete del tempo con i vostri figli e non sentitevi in colpa se non avete voglia di giocare con lui 24h/24h!!
  • Parla con il tuo partner ogni volta che puoi, di qualsiasi cosa
  • Delega, delega , delega: la spesa, il cambio del pannolino, il ritiro dei figli a scuola, il preparare la cena, il far partire la lavatrice, il fare i compiti con i bambini. Si deve lavorare in squadra!
  • Responsabilizza i tuoi figli e rendili partecipi della vita di famiglia
  • Concediti, ogni tanto, una serata col tuo partner o un pomeriggio con le amiche, solo per te.

 

Ricordarsi e ripetersi soprattutto che sbagliare è il primo modo per imparare e che per bimbi felici servono mamme felici!!!

NEOMAMME Per ogni neo-nato…nasce una neo-mamma!

La condizione di neo mamma è molto delicata: a partire dalla nascita del bambino, fin dai primi momenti in ospedale, tutta l’attenzione è rivolta al piccolo neonato e ci si dimentica di vedere e fare attenzione anche alla “neomamma” appena nata. Si è sottoposte al giudizio di un’infinità di parenti e conoscenti, subito pronti a sfornare pareri e consigli su come sia meglio accudire e crescere il bebè….e la mamma?

E’ ovviamente implicito nella condizione di neo mamma accettare in prima persona di essere messa in secondo piano rispetto al bebè, ma per mia esperienza ci va una buona dose di equilibrio, insieme al supporto del proprio partner, dei nonni e degli amici, per  superare questa fase serenamente e senza farsi soffocare dai sensi di colpa e di inadeguatezza.

Il primo figlio è sempre uno stravolgimento. Non solo dell’organizzazione materiale e temporale delle proprie giornate, ma più radicalmente del proprio modo di pensare.

Cambiano le priorità: una nuova vita indifesa e bisognosa di tutto è entrata nel nostro mondo da un momento all’altro e si è anche posta in cima alla “lista dei doveri”.

Un nuovo corpicino che si esprime in maniera non molto ben definita è ora davanti ai nostri occhi e si aspetta tutto da noi, per la sua stessa sopravvivenza.

Nessuno di noi nasce “genitore imparato”. Si impara vivendo, facendo e soprattutto sbagliando.

Nella società di oggi è forte il sentimento del doversi “dimostrare all’altezza” di una qualunque situazione, di cercare l’approvazione degli altri seguendo schemi e comportamenti convenzionali, che possono anche non confacersi al nostro carattere.

Il messaggio che vorrei portare alle neo-mamme è quello di non aver paura di mostrare le proprie esigenze, le proprie preoccupazioni, i propri timori, e, nei limiti del possibile, di non rinunciare sempre a se stesse e ai propri bisogni.

Il neonato mangia, dorme ma soprattutto piange, questo è il suo modo di esprimersi. Ha bisogno di voi per la propria sopravvivenza, ma ricordatevi che la sua felicità dipende anche dalla vostra felicità e serenità. Come si dice sempre, i bambini piccoli sono delle spugne emotive che assorbono tutti i vostri stati d’animo. Per cui, non abbiate paura delle vostre insicurezze, fate affidamento sull’aiuto del vostro partner e se possibile condividete con amiche in situazioni simili i vostri dubbi e le vostre paure. Questo vi aiuterà ad essere maggiormente consapevoli della vostra situazione e anche a riuscire a vedere voi stesse da un altro punto di vista e a rilassarvi in merito alle aspettative che tutti coloro che vi circondano sembrano avere in voi come mamme.

L’aiuto e la comprensione del partner è sicuramente fondamentale, in questo periodo di così grande debolezza, per la mamma e per il neonato. Il papà, infatti, non è coinvolto così intimamente nel rapporto con il neonato e può fornire un supporto prezioso in situazioni di stanchezza, fisica ed emotiva, di ascolto e comprensione.

Lo stesso rapporto di coppia è messo fortemente alla prova con la nascita del primo figlio. Le esigenze della donna cambiano e si sommano a quelle del nuovo arrivato. Il papà deve essere pronto e disponibile a comprendere ed accettare entrambe .

Il dialogo tra i due genitori è sempre il mezzo di maggior efficacia per mantenere saldo il rapporto ed anzi, migliorarlo e renderlo ancora più forte.

Inoltre, il confronto quotidiano, lo scambio di esperienze con altre mamme che vivono le stesse preoccupazioni è di sicuro uno degli aiuti più importanti per non sentirsi soli, inadeguati e frustrati dai primi approcci col piccolo nuovo arrivato.

Il periodo dell’arrivo di un bebè è uno dei più magici che attraversiamo in tutta la vita, non lasciamo che la serenità familiare venga in qualche modo offuscata da  stanchezza o imposizioni esterne. Che il neo arrivato sia felice dipende da voi, neo-mamme, siatelo voi innanzittutto e dategli il giusto esempio!